di N.H. Don Giancarlo Graziani
Oltre a dare i natali a Giotto ed al Beato Angelico il Mugello è stata la culla della magnifica dinastia Medicea, ancor oggi fiorente nel Gran Duca di Toscana Ottaviano, che da Cafaggiolo ha preso le mosse per conquistare fama universale e darla ai maggiori artisti tra cui Raffaello Sanzio, la cui esistenza terrena terminò giusto cinquecento anni fa.
In questo muoversi in Toscana avremo per guida il primo storico dell’Arte, quel Giorgio Vasari aretino, parente di Luca Signorelli, che con i suoi scritti rende ancora vivida testimonianza alle personalità che da Cimabue a Michelangelo hanno reso immortali gli “artifici artistici” che ancor oggi ammiriamo.
Cafaggiolo, Trebbio, Bosco ai Frati sono luoghi in cui il “genio mediceo” si incontra e dialoga quotidianamente con chi ne apprezza l’eloquio forgiatosi sulle idee e le capacità di Michelozzo e Donatello, protetti con Brunelleschi dalla Casa che segnerà con la propria ascesa il mito dell’Umanesimo Fiorentino e del Rinascimento Romano.
Fu tra il XIII° ed il XIV° secolo che Salvestro Chiarissimo, figlio di Averardo eletto nel 1314 Gonfaloniere di Giustizia, piantò il seme dell’albero mediceo che tanti rami e tanti frutti ha dato alla storia e continua a produrre.
La villa di Cafaggiolo è uno di questi: nel 1427 il catasto che ne attestava la proprietà medicea la definisce “abituro a uso di fortezza” ma il suo destino mutò quando divenne di Cosimo il Vecchio nel 1451 che decise di affidarne il rinnovamento all’architetto di casa, nientemeno che “Michellozzo Michellozzi, scultore et architetto fiorentino” come lo dice Vasari nelle “Vite”.
Ed insieme a questa gli altri due progetti per il Castello ed il Convento già realizzati: “Fece ancora Cosimo de’ Medici col consiglio e disegno di Michelozzo, il palazzo di Cafaggiuolo in Mugello, riducendolo a guisa di fortezza coi fossi intorno; et ordinò i poderi, le strade, i giardini e le fontane con boschi attorno, ragnaie et altre cose da ville molto onorate; e lontano due miglia al detto palazzo, in un luogo detto il bosco a’ frati fece, col parere del medesimo, finire la fabbrica d’un convento per i frati de’ Zoccoli di S. Francesco, che è cosa bellissima.
Al Trebbio medesimamente fece, come si vede, molti altri acconcimi.”
Data l’origine la costruzione conserva ancora la maschia grazia dei suoi austeri volumi rimasti intatti con la torre massiccia dell’ingresso che la caratterizza nella sua memoria difensiva.
Nascosto dai boschi della collina che le sta alle spalle e su cui è costruito sta invece San Francesco in Mugello, il Bosco ai Frati di pura armonia di linee e proporzioni che i Medici resero ancor più mirabile per le opere e gli arredi che vollero donare.
Michelozzo riadattò una chiesa preesistente e riedificò il convento, lì dove San Bonaventura fu raggiunto dai messi papali con le insegne cardinalizie che fece posare su un arbusto – ancor oggi esistente e divenuta mirabilmente pianta –mentre terminava di lavare le stoviglie in un catino di pietra che si può vedere ancora, e Donatello vi ha lasciato uno stupefacente Cristo Crocifisso in legno riscoperto nella seconda metà del secolo scorso dall’acuto occhio di Alessandro Parronchi.
Luogo di grande importanza francescana fu probabilmente qui che Donato trascorse il periodo in cui di lui non si hanno notizie ,tra il 1440 quando lascia Firenze ed il 1443 quando arriva a Padova, meditando ed inventando quella “terribilità” – denominazione che Vasari dà al suo scolpire – che caratterizzerà da quegli anni il suo espressionismo ed i suoi capolavori.
Al Trebbio Michelozzo applicò la sua maestria nel riadattamento del castello e nella costruzione della cappella dove aleggiano lo spirito e le gesta del più famoso condottiero di casa Medici, Giovanni dalle Bande Nere, figlio di Giovanni il Popolano, altro ramo familiare, e di Caterina Sforza Riario.
In direzione della capitale granducale si incontra poi a Vicchio un punto umile ma di grande suggestione e di importanza vitale per la storia dell’Arte: il Ponte di Giotto, vicino alla sua casa natia, dove la tradizione vuole che il giovane di talento incontrò l’affermato maestro che ne riconobbe le potenzialità e lo volle con sé.
E Giotto accettò l’invito di Cimabue e la Pittura prese un altro corso, quello che conosciamo.
In vista di Firenze, a Pratolino, rimangono i resti di quella che fu la villa di Ferdinando I e di Bianca Cappello progettata dal Buontalenti, poi caduta in abbandono e modificata nel XIX° secolo dai Demidoff, e del parco che delle sue meraviglie conserva il colossale Appennino di Giambologna.
Nel giardino vi era una fontana dell’Ammannati, che oggi rallegra quello della reggia granducale di Boboli, lì posta ma progettata e realizzata per Palazzo Vecchio :“Giorgio Vasari condusse da Roma, et acconciò col duca, Bartolomeo Ammannati scultore per fare l’altra facciata dirimpetto all’udienza cominciata da Baccio in detta sala et una fonte nel mezzo di detta facciata, e subito fu dato principio a fare una parte delle statue che vi andavano.”
Dalle origini ai fasti granducali medicei che non si possono che apprezzare visitando Palazzo Pitti, che ha conservato l’intitolazione alla famiglia che ne fu prima proprietaria, e dove si conserva buona parte della quadreria di famiglia, quella che Anna Maria Luisa de’ Medici, Elettrice Palatina per matrimonio ed erede al trono Granducale di Toscana per legittimità, volle fosse legata al titolare scrivendo nel proprio Testamento, che ribadiva quanto sottoscritto nel Patto di Famiglia: “Dispose, e dispone, che di tutte le gioje che si troveranno nella di Lei Eredità, detratte quelle lasciate per legato come sopra, se ne faccia Inventario, e si unischino alle gioje provenienti dalla sua Famiglia, e che si chiamino dello Stato, ad effetto che l’uso di esse deva servire per ornamento dei Serenissimi Gran Duchi, e Serenissime Gran Duchesse regnanti di Toscana, per dovere tutte sempre, et in perpetuo conservarsi in questa Città di Firenze, insieme con tutte le statue, pitture, medaglie, et altre rarità singolari ritrovate nell’eredità della Famiglia già regnante della Serenissima Testatrice, ed a forma della Convenzione fatta con Sua Altezza Reale in Vienna né 31 ottobre 1737,dovendo pure tutti i beni stabili e rendite …possedersi dopo la sua morte da Sua Altezza Reale, e da ogni Serenissimo Gran Duca di Toscana regnante pro tempore in perpetuo…”
E grandissima parte del patrimonio artistico fiorentino , poi passato in possesso del Regno d’Italia e della Repubblica Italiana, è ancora sotto queste disposizioni e quindi proprietà del Gran Duca di Toscana.
E qui troviamo ben quattro dipinti ricordati da Giorgio Vasari come opera di Raffaello Sanzio, artista prediletto di Papa Leone X, Giovanni de’ Medici figlio di Lorenzo il Magnifico, anch’egli formatosi, come il cugino, Giulio de’ Medici che salirà poi al soglio pontificio come Clemente VII, al genio umanistico di Angelo Ambrogini, il Poliziano, che da Cafaggiolo fu allontanato dalla moglie di Lorenzo, Clarice Orsini, per dissonanze sull’educazione dei due.
Purtroppo vicende storiche susseguitesi nei secoli hanno reso spuria la raccolta del Genio di Urbino dato che la Madonna dell’Impannata non è l’originale di cui scrive l’aretino così come la Visione di Ezechiele, che infatti egli colloca a Bologna, presso il conte Vincenzio Arcolano: la Storia dell’Arte essendo scritta dagli uomini non può certo essere esente da errori.
Ma noi guarderemo anch’esse con gli occhi di Giorgio Vasari anche al fine di comprendere meglio.
Iniziando da “La Velata”, celeberrimo ritratto femminile di cui riporta: “Fece poi Marco Antonio per Raffaello un numero di stampe, le quali Raffaello donò poi al Baviera suo garzone ch’aveva cura d’una sua donna, la quale Raffaello amò sino alla morte e di quella fece un ritratto bellissimo che pareva viva viva, il quale è oggi in Fiorenza appresso il gentilissimo Matteo Botti, mercante fiorentino, amico e familiare d’ogni persona virtuosa e massimamente de i pittori, tenuta da lui come reliquia per l’amore che egli porta all’arte e particolarmente a Raffaello”.
Il Baviera, Baverio Carrocci da Parma, fu tanto fidato del Sanzio da rappresentarlo nell’acquisto di una casa a Roma, capitale dello Stato della Chiesa, nel 1515, abitazione forse destinata a questa “sua donna”.
Della Madonna del Baldacchino Vasari riporta che non Raffaello non la terminò ed infatti così ci racconta: “Finito questo lavoro e tornato a Fiorenza, gli fu da i Dei, cittadini fiorentini, allogata una tavola che andava alla cappella dell’altar loro in Santo Spirito; et egli la cominciò e la bozza a bonissimo termine condusse,…”.
Il “lavoro” a cui lo storico si riferisce è la Deposizione dalla Croce fatta per madonna Atalanta Baglioni a Perugia per la sua cappella nella chiesa di San Francesco.
I famosi ritratti dei coniugi Doni, emblema dell’eleganza del tempo, sono così ricordati: “Dimorando dunque in Fiorenza Agnolo Doni, il quale quanto era assegnato nell’altre cose tanto spendeva volentieri, ma con più risparmio che poteva, nelle cose di pittura e di scultura, delle quali si dilettava molto, gli fece fare il ritratto di sé e della sua donna in quella maniera che si veggiono appresso Giovanbattista, suo figliolo, nella casa che detto Agnolo edificò bella e comodissima in Firenze nel corso de’ Tintori, appresso al canto degl’Alberti”.
Nel retro della coppia di dipinti, quello del committente e di sua moglie Maddalena, un allievo di Raffaello eseguì a monocromo il Mito di Deucalione e Pirra.
La misteriosa Visione di Ezechiele viene vista da Vasari nella seconda città dello Stato pontificio dove si era recato più volte e così ce ne parla: “Fece ancora dopo questo un quadretto di figure piccole, oggi in Bologna medesimamente in casa il conte Vincenzio Arcolano, dentrovi un Cristo a uso di Giove in cielo e d’attorno i quattro Evangelisti, come gli descrive Ezechiel; uno a guisa di uomo e l’altro di leone e quello d’aquila e di bue, con un paesino sotto figurato per la terra, non men raro e bello nella sua piccolezza che sieno l’altre cose sue nelle grandezze loro”.
Dando per certa una versione autografa – che è questa descritta da Vasari e legata alla committenza dell’Estasi di Santa Cecilia – di questa è accettato ciò che indicò il Cavalcaselle, l’esecuzione di Giulio Romano sotto la direzione di Raffaello che poi ritoccò il dipinto.
E concludiamo questo elenco vasariano con la Madonna dell’Impannata : “Et a Bindo Altoviti fece il ritratto suo quando era giovane che è tenuto stupendissimo. E similmente un quadro di Nostra Donna che egli mandò a Fiorenza, il qual quadro è oggi nel palazzo del duca Cosimo nella cappella delle stanze nuove e da me fatte e dipinte, e serve per tavola dell’altare, et in esso è dipinta una Santa Anna vecchissima a sedere, la quale porge alla Nostra Donna il suo Figliolo di tanta bellezza nel ignudo e nelle fatezze del volto che nel suo ridere rallegra chiunque lo guarda; senza che Raffaello mostrò nel dipignere la Nostra Donna tutto quello che di bellezza si può fare nell’aria di una Vergine, dove sia accompagnata ne gli occhi modestia, nella fronte onore, nel naso grazia e nella bocca virtù, senza che l’abito suo è tale che mostra una semplicità et onestà infinita. E nel vero io non penso che per tanta cosa si possa veder meglio; evvi un San Giovanni a sedere ignudo et un’altra santa ch’è bellissima anch’ella. Così per campo vi è un casamento, dove egli ha finto una finestra impannata che fa lume alla stanza dove le figure son dentro.”
Ci parla, con entusiasmo ed ammirazione, di un capolavoro che certamente non può essere quello esposto e che infatti è dato alla scuola.
Perso? Non riconosciuto?
Un altro mistero nell’affascinante storia dei Medici, una Famiglia che dal Mugello è giunta a Firenze e poi a Roma, che è patrimonio del Mondo e che ancora regna sulla nazione granducale che vi si riconosce nei principi eterni dell’Umanesimo.