Il tema della Nobiltà nel Granducato di Toscana e nell’Ordine Civico Mediceo segue quello trattato dal celebre “ Discorso sopra lo stato antico e moderno della Nobiltà di Toscana” di Pompeo Neri, opera commissionata nel 1748 dal Granduca Francesco Stefano di Lorena in previsione del riordino dell’antico sistema nobiliare mediceo, che il nuovo Granduca invasore intendeva sottomettere a se attraverso una severa legge apposita, la quale vide poi la luce nel 1750.
Il “Discorso” inquadrava i vari problemi del diritto nobiliare, e perciò anche quelli attinenti all’Ordine di Santo Stefano, sulla scorta della distinzione (ben nota alla giurisprudenza, grazie alla formulazione datane da Bartolo da Sassoferrato) tra nobiltà naturale e nobiltà civile:
- la prima « unicamente [ … ] fondata nella comune opinione degli uomini, e non [ . . . ] sottoposta ad alcuna legge >>,
- la seconda, viceversa, «unicamente [ . . . ]fondata nella legge civile ».
La nobiltà naturale può essere gentilizia oppure personale e s’identifica, secondo il significato etimologico del vocabolo, con la « notorietà », rispettivamente della « chiara memoria degli antenati della propria gente » o delle « virtuose azioni di una persona ». Questa specie di nobiltà si chiama naturale perché « dipende – ripetiamo- dal modo di pensare e di opinare, che si trova comunissimo in tutte le nazioni ». Per la sua essenza non può essere né conferita né soppressa dalla legge civile, dal momento che la « notorietà » è una « cosa di fatto », sottratta all’« autorità di chi che sia »; inoltre, « non è trasmissibile agli eredi, né ai discendenti, se non in quanto i discendenti continuino a conservare quella notorietà che ha fatto distinguere i loro maggiori »
Del tutto diversa è la sfera della nobiltà civile, cioè della capacità di partecipare alla gestione della cosa pubblica, sempre affidata « a qualche numero di persone più scelte, che si distinguono con tal prerogativa dalla moltitudine, che non ha veruna mescolanza nell’amministrazione ».
La nobiltà civile può essere anch’essa di due specie: ereditaria e personale. La prima – di gran lunga la più rilevante consiste nel godimento dei « diritti di cittadinanza », diritti che il titolare può trasmettere ai propri « figli, e discendenti maschi, i quali li acquistano per pura ragione di nascita, non già per alcuno loro fatto o merito personale ». Storicamente si presenta in due forme in vario modo diffuse nei diversi Stati: come nobiltà civica, propria delle famiglie investite del diritto ereditario di accesso alle magistrature comunali, e che affonda le sue radici nelle istituzioni del mondo greco- romano, e come nobiltà feudale, generata invece dalle istituzioni tipiche del mondo barbarico.
Esiste infine una nobiltà civile personale, non trasmissibile ai discendenti, connessa con l’esercizio di « funzioni rispettabili », quali « il sacerdozio, la milizia, la corte del principe, e le cariche civili ». Su essa « rimane però molto d’equivoco, e d’indeciso, perché non è definito da veruna legge quali funzioni siano quelle, che nobilitano chi la esercita, e quali no ». Ma, d’altra parte, « questa definizione è pochissimo necessaria, perché questo genere di nobiltà personale, e civile, estinguendosi colla persona, o con la terminazione dell’esercizio, e non propagandosi ai discendenti, e non facendo acquistare nemmeno alla persona altri diritti nel governo, resta per lo più una curiosità inutile il sapere se una tal carica nobiliti, oppure no »
Il rigoroso schema concettuale su cui s’impernia il Discorso consente, a questo punto, di sgombrare il campo dalle incertezze e dalle polemiche vertenti sul significato dei diplomi di nobilitazione concessi dal sovrano. E’ infatti evidente come, in tema di nobiltà naturale, i provvedimenti del pubblico potere possano assumere soltanto la veste di un atto dichiarativo, di mero accertamento:
« L’unico ufizio, che alla potestà civile resti in materia di nobiltà naturale, o sia personale, o gentilizia, è quello di formare degli attestati di essa nobiltà giacché lasciando operare alla pura notorietà di fatto, in cui si fonda la nobiltà tanto gentilizia, che personale, questa notorietà potrebbe nella diversità dei tempi e dei luoghi disperdersi, o non conservare l’istessa evidenza, o talvolta restar sottoposta a qualche equivoco. Perciò volendo i nobili avere un autentico e ostensibile, e pur durevole riscontro della loro condizione, come spesso desiderano di avere bisogna ricorrere agli attestati del governo civile nell’istessa guisa, che per facilitare il commercio dell’oro è stato opportuno il corredarlo riducendolo in moneta, con un attestato civile della sua bontà e perfezione.
Ma giusto appunto siccome gli attestati dell’oro non sono atti a far l’oro, né a costituirlo più puro di quello che sia, ne sono di alcun valore, se non in quanto si scorgono esattamente conformi alla verità naturale; così li attestati di nobiltà non sono atti a costituire l’uomo nobile, ne a nobilitarlo più di quello che egli merita, ma puramente si considerano in quanto sono conformi alla verità dei fatti, e quando mancano di tal conformità non sono presso al mondo di uso alcuno » .
Al contrario, in tema di nobiltà civile, tali provvedimenti hanno valore costitutivo, giacché questo genere di nobiltà, riconoscendo la sua fonte unicamente nella legge civile, si acquista, e parimenti si può perdere per decisione e principe.
Si deve pertanto escludere che i « diplomi », le « lettere » i « rescritti » gli « attestati » e le altre estrinsecazioni del potere sovrano si possano configurare come atti istitutivi di un tertium genus di nobiltà:
« Né questa verità è contradittoria alla potestà sovrana del principe, che si suol dire essere fonte della nobiltà, perché per ciò che riguarda le due specie della nobiltà naturale, noi abbiamo già detto, che questa non dipende dalla potestà legislativa, ed è fondata in una verità, e notorietà di fatto, sopra di cui il sovrano non può fare altra figura che di attestante; onde siccome non si può, per esempio, dichiarare bianco un uomo, che sia moro, così non si può a chi non ha gli antenati nobili attribuirglieli a forza di un diploma.
Similmente nelle due specie di nobiltà civile, quantunque questa dipenda dalla potestà sovrana, e giustamente si dica esser di questa autore il principe, non ostante non può da esso conferirsi con le sole parole, nell’istesso modo, che non si può dal principe per diploma dichiarare ricco uno, che sia povero, senza dargli effettivamente nell’istesso tempo le ricchezze, che pur queste dipendono dalla sua potestà. Il principe adunque può creare a suo piacimento un nobile civilmente; ma per crearlo bisogna, che lo collochi in quell’ordine, o rango di persone, a cui competono per ragione di nascita i primi onori, o diritti civili dello stato, e in tal caso coll’effettiva comunicazione di questi diritti l’uomo diventa nobile»